Un proverbio indiano recita: “Ogni volta che nasce un bambino, nasce una mamma“.
Così come crescere un figlio mi ha cambiata come donna, perdere il secondo dopo tre mesi dalla nascita mi ha nuovamente trasformata. Mi ha portato a vedere il mondo intorno a me con occhi diversi e donato una nuova consapevolezza della vita. Oggi sono una persona profondamente cambiata.
Dove sono adesso? In una nuova ricerca della bellezza della vita, anche dopo un trauma così profondo, che la nostra famiglia porterà sempre con sè.
Diagnosi
Rimasta incinta per la seconda volta, eravamo felicissimi.
Finalmente Mattia avrebbe avuto un fratellino e noi un altro bambino. I mesi passavano e mi sentivo bene, in forze e serena.
Alla fine del quinto mese andammo a fare l’ecografia di controllo. Durante la morfologica, mentre mi trovavo sola sul lettino perché Francesco era uscito un momento con Mattia, mi piombò addosso la notizia:
– Signora qualcosa non va bene, il cuore… non riesco a vederlo -.
Lo sgomento misto a incredulità che mi avvolse fu frastornante.
Com’era possibile? Noi che avevamo Mattia sano e forte. In quel momento fummo travolti dal turbine del protocollo ospedaliero. Ci voleva assolutamente un controllo più approfondito e andava fatto subito.
Tra le lacrime e il ritrovarsi frastornati chiamai mio fratello, gli chiesi se sarebbe potuto venire a prendere Mattia e per occuparsi di lui intanto.
Così iniziò una delle tante attese più lunghe che faranno poi parte della nostra vita con Leon.
La seconda ecografia la fece una dottoressa giovanissima, zero tatto e zero empatia.
Francesco era in lacrime e io distesa sul lettino per la seconda volta mi sentii dire che nostro figlio (a quel tempo figlia tra l’altro per errata valutazione del sesso e che sarebbe stata Chloe) non gli si era sviluppato il cuore; ne mancava metà, un intero ventricolo.
Mi spinsero a fare amniocentesi già il giorno dopo. Soprattutto al più presto avrei dovuto abortire perché una malformazione come questa non sarebbe stata compatibile con la vita.
– Sopravviverà solo poche ore Signora, lei ha poco tempo, solo 4 giorni, poi dovrebbe recarsi all’estero per fare l’interruzione della gravidanza -.
Dandomi i fogli per l’amniocentesi in mano voleva che mi presentassi il giorno dopo.
Come si fà, mi chiedo oggi, ad avere così poco tatto con una donna in stato interessante che sta vivendo uno dei momenti emotivi più fragili in assoluto? Non siamo macchine e stavamo parlando del mio bambino.
Uscii dall’ospedale.
Cercai di respirare l’aria. Francesco era crollato completamente. Io ero a dir poco confusa. Presi il telefono per chiamare la mia Ostetrica personale, Gabriella, che fece nascere Mattia; mi conosceva ed era con lei che volevo parlare prima di tutto. Avere un altro parere e un altro punto di vista. In cuor mio già sapevo che non avrei fatto nessun esame invasivo. Non ne vedevo il senso. Sapevamo già che Chloe (Leon) non stava bene.
Gabriella per telefono mi calmò, mi dette la forza necessaria per rientrare e rifiutare di fare l’esame. Volevo fare un’ecografia con uno specialista. Così ci venne fatto il nome del Dott. Chiappa che lavora all’OPA di Massa (Ospedale Pediatrico Apuane) e con lui fissammo un’ecografia per il lunedì successivo.
Il fine settimana più lungo della nostra vita. Le attese furono estenuanti, sempre con l’illusione dentro che teneva accesa la speranza che la situazione poteva essere diversa e allo stesso tempo il convivere con la sofferenza e il dolore. Un dolore lancinante.
Dirlo alle famiglie poi non fu facile. Ognuno aveva il suo immaginario perfetto in cui sarebbe arrivato nella famiglia un altro piccolo membro che avrebbe scaldato il cuore di tutti. Dovevamo comunicare che non sarebbe stato proprio come avremmo pensato che fosse. Saputa la cosa ognuno esternò il proprio parere; a mio avviso non necessario in un momento così travagliato e pesante per noi.
Una coppia che soffre va solo abbracciata e sorretta.
La mia famiglia accolse il mio dolore e fece l’unica cosa di cui potevo avere bisogno: starmi vicino.
Finalmente arrivò lunedì e andammo a Massa dove mi venne fatta un’ecografia lunga e molto precisa. Chloe (Leon) era sempre posizionata in modo che il cuore non si vedeva bene, sembrava quasi che lo sapesse rendendo difficile ai medici fare una diagnosi. Lei così vivace e forte, così viva dentro di me. Scalciava e si muoveva continuamente.
Nel Dott. Chiappa trovammo una persona molto calma e paziente, decisamente preparata a fare il suo lavoro e con la capacità di accogliere le emozioni così difficili e forti di una coppia spaesata e impaurita.
Purtroppo confermò la diagnosi:
– Abbiamo la cardiopatia congenita più grave di tutte, ipoplasìa sinistra. Non è dato sapere statisticamente il perché capita questo, ma può succedere in coppie sane con figli sani… accade per molteplici motivi che non è dato sapere. Ma vostro figlio ha un unica strada possibile per riuscire a sopravvivere, quella chirurgica. Saranno tre interventi nei primi tre anni di vita. Uno nelle prime due settimane dalla nascita, il secondo nel primo anno di vita e il terzo intorno a tre anni. Si cerca chirurgicamente di creare una circolazione univentricolare. Sarà un cammino molto lungo e difficile per tutti -.
Incredibile, ma per natura la circolazione fetale permette al bambino di crescere senza problemi. Lo sentivo, era forte e molto presente. Uscimmo comprendendo entrambi che una possibilità c’era, una sola, molto difficile ma possibile, piena di speranza. Credo che nessun genitore sia mai pronto a perdere un figlio.
Furono notti insonni, ci interrogavamo molto su tutto. Anche sul sottile filo etico che si prospettava per noi. Tenere un figlio che non avrebbe possibilità di vita senza intervento chirurgico, o abortire? Sapevamo entrambi che non avremmo rinunciato senza combattere.
Una battaglia dura, la più dura per tutti. La battaglia per la vita.
Difficile Attesa
I mesi successivi furono davvero difficili. Molte notti insonni e tante crisi di pianto.
La gravidanza, uno dei periodi più spensierati per una donna, si era trasformata in un’altalena di emozioni contrastanti e dentro il mio cuore c’era tanta paura. I controlli furono chiaramente intensificati e vennero fatti a Massa, dove sarebbe nato il nostro bambino, per poter essere preso subito in carico dalla terapia intensiva. I pensieri erano molti ed è davvero difficile accettare una cosa del genere per qualsiasi genitore che possiede un immaginario di gioia e di perfezione per i propri figli.
Era difficile essere positivi e riuscire a fare la vita di sempre, essere sorridenti con Mattia.
Dovemmo organizzare molte cose, in primis il nostro trasferimento a Massa in pianta stabile almeno un mese prima della nascita, per non rischiare di essere lontani nel momento del bisogno. Stabilii che per il tempo che restava alla nostra partenza definitiva avremmo dovuto intraprendere delle sedute di terapia psicologica per riuscire ad essere il più integri possibile, data la difficile situazione, per riuscire a spiegare a Mattia, di soli due anni e mezzo, le complicate e incomprensibili cose che stavano succedendo alla sua famiglia.
A mio avviso la terapia è stata un notevole aiuto per sorreggere tutto il carico a cui eravamo sottoposti.
Iniziai la ricerca della casa, che per fortuna dopo più di un mese trovammo non lontana dall’ospedale e fissammo il trasferimento mio e di Mattia al 15 Maggio. Avrei partorito il 16 Giugno.
Durante i successivi controlli ci fu detto che non aspettavamo una bambina, ma un maschietto!
Pensammo entrambi di voler un nome forte per un bambino che avrebbe dovuto combattere come un leone per la vita, per questo decidemmo per Leon.
Fatto il trasloco iniziò per me e Mattia una nuova fase di attesa. Cercai di fargli fare una vita il più normale possibile e per nostra fortuna in una località di mare.
Leon intanto cresceva forte e sano, ancora oggi sono incredula se penso alla sua enorme vivacità mentre era protetto dentro di me.
Cercavo di mettermi in contatto con lui, parlarci e ricordargli che la sua mamma lo amava così com’era.
Accettare che non tutto è come vorremmo è molto difficile; accettare che Leon aveva una malformazione incompatibile con la vita e accompagnarlo durante quello che sarebbe stato il suo percorso era davvero arduo, ma non avevamo nessun’altra scelta. Sarebbe stato lui a darci la forza per andare avanti.
Massa
Iniziarono i dolori del parto di pomeriggio, Leon venne al mondo una sera tardi di Giugno.
Grazie alla mia ostetrica Gabriella nacque dopo il termine con parto naturale. Nonostante per me andare in ospedale sia stata un’esperienza molto dura, sono contenta di essere riuscita per entrambi di avere avuto un parto naturale anche se ci vollero otto lunghe ore.
Appena nato lo vedemmo solo un’istante e poi lo sciame di infermiere e dottori lo portò via. Una delle cose più strazianti di tutta questa storia è avere un bambino e non poterlo vedere e toccare.
Dopo tre ore chiesi di firmare i fogli per essere dimessa, Mattia era a casa con mia mamma e io se non potevo stare con Leon che era in terapia intensiva potevo almeno esserci per Mattia quando si sarebbe svegliato la mattina.
Sapendo che non sarei rimasta in ospedale ci concederono di vedere Leon alle tre di notte. Un bambino bellissimo. Aveva delle guance paffute e un colorito roseo. Incredibile che un bambino così perfetto non avesse potuto sopravvivere.
A casa la notte mi svegliavo per cercarlo nel letto e non c’era, ogni giorno con la paura che poteva squillare il telefono e se squillava non erano mai buone notizie dall’ospedale. Leon lo potevamo vedere solo due volte al giorno per poco tempo, massimo un’ora ma spesso era molto meno.
Non è assolutamente naturale vivere un’esperienza simile ma lui non aveva scelta e neanche noi. A cinque giorni di vita ci fu detto che avrebbe affrontato la prima operazione, la più lunga e pericolosa, con il venti percento di possibilità di non riuscita. Mi ricordo come se fosse oggi la giornata che io e suo padre passammo sulle scomode sedie fuori dalla sala operatoria e il tempo che non passava mai… fino a quando dopo nove ore il chirurgo uscendo ci comunicò che aveva provato a fare una prima soluzione, ma Leon era andato in arresto cardiaco, così provandone una seconda per adesso sembrava funzionare.
I giorni successivi furono i più tosti e angoscianti della nostra vita. Leon sedato, immobilizzato e intubato attaccato a ogni tipo di aiuto farmacologico possibile. Nessun genitore dovrebbe dover vivere un tale strazio. Ci vollero un mese un giorno, tutte le nostre preghiere e quelle di innumerevoli persone a noi vicine per vederlo piano piano risorgere dal suo stato di coma farmacologico.
A un mese e un giorno mi telefonarono per dirmi che saremmo passati in degenza pediatrica, di venire entro un’ora in ospedale per rimanere con Leon.
Incredibile, toccammo il cielo con un dito. Leon ce la stava facendo e noi con lui. Suo padre che era a Firenze per lavorare, la sera corse a Massa da noi. Iniziammo a fare i turni per dividerci tra Leon e Mattia, che insieme a noi stava vivendo questo calvario.
Ora Leon avrebbe dovuto prendere peso, mangiare, digerire e riuscire a respirare autonomamente; la nuova circolazione creata chirurgicamente doveva in qualche modo funzionare.
In due settimane con tutti i nostri sforzi riuscimmo ad uscire da lì. Per la prima volta lo tenni stretto a me cercando di dargli tutto l’amore del mondo. Potetti dare a mio figlio un bacio dopo un mese. Gesti normali con un bambino come lui furono invece conquistati e sudati. Suo padre faceva le notti ed è stato il padre e il compagno più amorevole di questo mondo. Per fortuna avendo preso un’abitazione a Massa potemmo uscire un po prima del previsto quando, tolto l’ossigeno, Leon era riuscì finalmente a respirare in autonomia. La sua saturazione del sangue reggeva sui 77% e riusciva a digerire il latte per il quale feci una battaglia personale per averne dalla banca del latte.
Anche a casa fu dura. Leon non poteva prendere neanche un raffreddore, non poteva avere contatti con le persone a causa della contaminazione dei microbi
poichè il suo sistema immunitario era completamente disabilitato. Ma eravamo a casa, in quarantena ma a casa. L’isolamento per me fu molto duro. Essendo una persona estremamente socievole ora le giornate in solitudine erano faticose e infinite.
Passammo a Massa tutto il mese di Agosto ma a settembre Francesco dovette rientrare a lavoro e io sola mi trovai arresa. La notte mi svegliavo ad ascoltare Leon che respirava. Avevo paura e non ero tranquilla. Stare poi con tutti e due non era cosa da poco, Mattia aveva le sue esigenze e viveva l’isolamento con me aspettando gli zii o i nonni nel fine settimana per uscire e andare al mare. Con Leon andavamo due volte alla settimana in ospedale per i controlli e sembrava stare bene. Però a inizio Settembre non ce la feci più e decisi di prendere una visita privata con il chirurgo che l’aveva operato e la cardiologa di riferimento che lavora con lui. Arrivare alla data della visita del quindici Settembre sarebbe stato faticoso ma anche bello. Ogni tanto uscivo per una passeggiata con tutti e due e Leon vedeva un po’ di mondo, di verde e il cielo. Niente davvero niente era scontato con lui e oggi sono grata di ogni singolo giorno e momento che mi è stato regalato con lui.
Il 15 settembre venne visitato e dopo mesi ci dettero finalmente il permesso di tornare a casa. Saremmo dovuti tornare per i controlli ma aspettavamo che Leon crescesse di peso per poter affrontare la seconda operazione, la Glenn. La gioia che provammo nel portarlo a casa non è spiegabile a parole. Anche Mattia aveva davvero bisogno di casa sua, in tutti i mesi lontano non smise mai di chiedere quando ci saremmo tornati.
La Perdita
Andammo a casa sabato e sembrava davvero di toccare il cielo con un dito. Dopo mesi e mesi di ospedale e di lontananza da casa, dalle persone che amo, dagli amici. Eravamo noi quattro, dove avremmo dovuto essere, vivere la nostra vita insieme fin dall’inizio.
Si spiega difficilmente la sensazione casa, però è la parola che meglio descrive il posto dove ci si sente sicuri, protetti e rilassati. Un posto nostro, il nido che ci siamo creati e finalmente eravamo noi. La gioia di Mattia era indescrivibile, la riscoperta di tutti i suoi giochi e dei suoi spazi, il suo amato giardino e anche il mio.
Nonostante anche a casa non fosse semplice eravamo felici. Leon doveva prendere tante medicine e non poteva ammalarsi; infatti come a Mattia venne la tosse dormimmo in camere separate. Leon con il suo amorevole babbo e Mattia con me.
Sembrava che tutto andasse come doveva andare sino a quando martedì notte mi svegliò il pianto di Leon, un pianto forte, un pianto non suo. Scesi e trovai Francesco che gli stava preparando il latte, pensando che avesse fame avendo saltato il pasto prima.
Dopo furono attimi, pochi minuti indimenticabili e scioccanti. Leon fece un ultimo grido in braccio a suo padre e girò gli occhi. Iniziai a gridare a Francesco di chiamare un ambulanza e presi mio figlio in collo. Per telefono ci spiegarono come fare il massaggio cardiaco e continuai fino all’arrivo dei soccorsi ma dentro di me mentre lo tenevo in braccio sapevo che lo stavo perdendo.
Francesco salì in ambulanza mentre io aspettai mia mamma per non lasciare solo Mattia. Dentro di me sapevo che non lo avrei più rivisto. Così è stato.
Leon è morto tra le mia braccia una tarda sera di settembre.
In ospedale chiesi che lo staccassero dalla ventilazione, dato che si dichiara un’arresto cardiaco dopo 7/10 minuti ritenevo inutile provare ancora dopo più di mezz’ora. L’infermiera di turno fu davvero molto gentile e preparata; ci permise di restare con lui durante la notte. Non volevo nessuno, era nostro figlio e se ne era appena andato. Allontanai i genitori di Francesco e salutai mia sorella che avevo fatto venire. Era un momento importantissimo tutto per noi tre. Aspettammo che il suo corpo cambiasse e che la sua anima avesse la possibilità di andare via.
Ringrazio ancora oggi della possibilità che ci hanno dato di poter stare con lui quella notte. Quella notte la nostra vita è cambiata per sempre.
Penso che Leon abbia voluto davvero tornare a casa sua e riportare noi a casa nostra. Che nella sua estrema saggezza abbia deciso di andarsene nel miglior modo possibile, a casa sua con i suoi genitori, nell’immenso amore della sua famiglia che ha conosciuto. Gli sono grata per ogni giorno che ci ha regalato e per il coraggio che ha avuto sopra tutti di andarsene così… non in ospedale, non durante una prossima operazione, non in terapia intensiva e non da solo. Quel pomeriggio aveva anche fatto il sonnellino con suo fratello.
Quella notte è nata una nuova me, una nuova mamma e la consapevolezza che non poteva essere andato tutto vano. Si cerca di nascondere esperienze dolorose spesso per imbarazzo o pensando che senza parlare tutto possa diventare più semplice… dimenticare. Non si dimentica un’esperienza come la nostra e come noi non la dimenticano tantissime altre famiglie.
Abbiamo deciso di fare il funerale insieme alle persone più intime e significative nella piccola chiesa di San Martino, sopra Grassina, il paese dove viviamo e dove lui è voluto tornare. Il giorno della sua cremazione, il sabato successivo, abbiamo fatto una commemorazione con gli amici stretti, da noi in giardino. Il suo giardino, il nostro giardino dove avrebbe sicuramente giocato con suo fratello.
Un momento molto dolce anche se triste, un momento difficile vissuto con le persone che fanno parte della nostra vita e che vicino a noi hanno conosciuto la sua storia.
Rebecca